La Sardegna, storicamente oggetto di conquiste e sfruttamento, si trova ora al centro di un’altra forma di “colonizzazione” economica. Questa volta, la guerra è combattuta non con eserciti, ma con progetti di energia rinnovabile che promettono di portare profitti e incentivi, ma sollevano anche preoccupazioni per l’ambiente e il benessere dei cittadini. Le bollette elettriche, già elevate, rischiano di ulteriormente aumentare con la crescita di queste iniziative, molte delle quali sono gestite da aziende straniere.
Gli interessi stranieri nella nascente industria dell’energia
Negli ultimi anni, la Sardegna ha visto un aumento significativo degli investimenti nel settore delle energie rinnovabili. Questi progetti, però, sono per lo più controllati da società estere, in particolare delle due superpotenze: Cina e Stati Uniti. Il panorama degli investimenti è variabile e complesso, con una mappa che mostra chiaramente i filoni di interesse delle corporation.
In primo luogo, si è sviluppato un forte afflusso di pannelli fotovoltaici provenienti dalla Cina, che ha conquistato il mercato sardo. Quasi tutti i nuovi impianti fotovoltaici installati sull’isola sono “made in China”, contribuendo a una crescente dipendenza economica. Questo fenomeno è accentuato dalla necessità di batterie per immagazzinare l’energia prodotta, e qui si nota la presenza di numerosi container carichi di litio, sparsi in località strategiche come Portovesme, Quartucciu, Ottana e Codrongianus.
Un altro aspetto preoccupante riguarda l’acquisto diretto di terreni agricoli da parte di investitori esteri. Il progetto di agrivoltaico nella Nurra, che occuperebbe 1.000 ettari, rappresenta un caso emblematico di questa tendenza, minacciando di trasformare terre fertili in aree industriali. Si tratta del più grande impianto fotovoltaico mai progettato in Europa, un primato che pone interrogativi sull’impatto ambientale e sociale di tali scelte.
L’impatto di JP Morgan e il “sacco” delle terre sarde
Tra i protagonisti del mercato energetico in Sardegna, è impossibile non menzionare JP Morgan, una delle più grandi banche d’affari americane. Negli ultimi tre anni, l’istituto ha implementato diversi progetti impattanti, specialmente sulle pendici del Monte Arcosu, dove si è assistito a un’esplosione di installazioni fotovoltaiche. La banca sta investendo anche in enormi aree agricole nell’area di Ottana, contribuendo alla speculazione terriera in una regione già provata da numerose emergenze ambientali.
E non finisce qui: JP Morgan ha puntato anche sulle acque sarde con proposte di installazione di impianti offshore. Due progetti nelle acque prospicienti Nora, nel Golfo degli Angeli, e uno nei mari di Olbia, Budoni e Siniscola, sono stati messi in cantiere, ampliando le preoccupazioni per la sostenibilità ecologica di un territorio ricco di biodiversità. Questi progetti non solo minacciano la bellezza naturale della Sardegna, ma anche le comunità locali che dipendono da un ecosistema sano.
La concorrenza internazionale e il panorama della speculazione
Oltre a cinesi e americani, la Sardegna attira anche investimenti da altre nazioni, in particolare dalla Spagna, Germania, Francia, Norvegia e, più recentemente, Israele. La crescente competizione internazionale per il controllo delle risorse sarde ha portato a una vera e propria corsa allo sfruttamento.
Un esempio lampante è rappresentato dal progetto israeliano che ha iniziato a cambiare il volto del Limbara, dove la bandiera con la “stella di David” segna l’inizio di un piano per installare 31 turbine eoliche alte più di 200 metri sui monti nei pressi di Cagliari. Questo intervento, avvolto nel silenzio e nella discrezione, si inserisce in un contesto di sviluppi simili in altre aree dell’isola, rendendo necessaria una riflessione approfondita sulle conseguenze ambientali e sociali di tali scelte.
L’inevitabile influsso di queste multinazionali nel territorio sardo non può essere ignorato, specialmente per le popolazioni locali che vedono il rischio di un cambiamento irreversibile del proprio habitat. L’arrivo di aziende estere e la proliferazione di progetti energetici pongono interrogativi sia sull’autonomia economica della Sardegna che sulla sostenibilità del suo ambiente.
Un futuro sostenibile della regione dipende ora dalla capacità dei sardi di gestire questi cambiamenti e dalle scelte politiche che verranno adottate.