Il mondo del cinema è affascinante, e i metodi di recitazione degli attori spesso suscitano grande interesse e dibattito. Brian Cox ha recentemente condiviso la sua esperienza di lavoro con Daniel Day-Lewis sul set del film “The Boxer”, offrendo uno sguardo unico sul noto approccio di immersione totale dell’attore. Le parole di Cox permettono di comprendere in modo più profondo le dinamiche sul set e l’impatto che il metodo di Day-Lewis ha avuto non solo sulle sue interpretazioni, ma anche sui suoi colleghi.
Il metodo di recitazione di Daniel Day-Lewis
Daniel Day-Lewis è celebre per il suo metodo di recitazione, caratterizzato da una totale immersione nel ruolo che interpreta. Questo approccio gli ha consentito di realizzare performance straordinarie e convincenti che gli sono valse ben sei nomination agli Oscar e tre vittorie. La sua carriera è contrassegnata da interpretazioni indimenticabili, come quella di Christy Brown nel film “Il mio piede sinistro” del 1989, dove ha interpretato un uomo con paralisi cerebrale che riesce a muovere solo il piede sinistro. Questo ruolo gli ha garantito il suo primo Oscar. Le altre due vittorie sono avvenute per le sue interpretazioni da protagonista in “Il petroliere” nel 2007 e nel biopic “Lincoln” del 2012.
Nel suo ultimo film, “Il filo nascosto”, Day-Lewis ha nuovamente collaborato con il regista Paul Thomas Anderson, ricevendo una nomination agli Oscar. Tuttavia, questo film rappresenta anche una sorta di capitolo conclusivo nella carriera di Day-Lewis, che ha annunciato il suo ritiro dalle scene. A sorpresa, è stato recentemente confermato che tornerà a recitare nel progetto “Anemone”, il primo film diretto dal figlio Ronan, suscitando così grande curiosità tra i fan del cinema.
Brian Cox racconta l’esperienza sul set di The Boxer
In un’intervista rilasciata all’Hollywood Reporter, Brian Cox ha parlato di come, durante le riprese di “The Boxer”, Daniel Day-Lewis rimanesse costantemente nel personaggio, mantenendo un accento nordirlandese anche nei momenti di pausa. Cox ha descritto questo comportamento come “un po’ fuori luogo”, evidenziando la sua comprensione del lavoro di gruppo nella recitazione. L’attore ha espresso la sua opinione sul fatto che “una performance cinematografica debba essere un’esperienza condivisa, piuttosto che un’espressione di individualità assoluta.”
Cox ha confrontato il proprio metodo di lavoro con quello di Day-Lewis, rivelando che non ritiene necessario immedesimarsi completamente nel personaggio. A suo avviso, la recitazione è “una forma d’arte collettiva,” e non crede che sia opportuno abbandonare completamente la propria personalità per un ruolo. Questo approccio ha avuto un impatto sui suoi colleghi, in particolare su Emily Watson, che si trovava in difficoltà a rispondere a Day-Lewis quando si esprimeva con l’accento nordirlandese durante le pause.
Cox ha suggerito a Watson di mantenere la propria autenticità nel set, incoraggiandola a “essere normale” e a non sentirsi obbligata a replicare il comportamento di Day-Lewis, rimarcando che il lavoro di un attore dovrebbe sempre riflettere la cooperazione e il rispetto reciproco tra i membri del cast.
Riflessioni sul metodo di recitazione e sull’arte collettiva
Il racconto di Brian Cox mette in evidenza le diverse filosofie che possono coesistere all’interno dell’arte della recitazione. Mentre alcuni attori, come Day-Lewis, abbracciano il metodo di immersione totale, altri, come Cox, preferiscono mantenere una distinzione tra se stessi e i personaggi che interpretano. Questa diversità di approcci arricchisce il panorama cinematografico, dimostrando che l’arte può essere espressa in modi molteplici.
L’intervista offre spunti interessanti su come gli attori possano collaborare in un ambiente di lavoro, rivelando le sfide che possono sorgere quando i metodi di recitazione sono così diversi. Nel complesso, la discussione tra Cox e il suo approccio collaudato e Day-Lewis e il suo metodo distintivo rimane un tema affascinante e rilevante nel contesto del cinema contemporaneo.