La rappresentazione del “Re Lear” di William Shakespeare, attualmente in scena al Teatro Argentina di Roma fino al 22 dicembre, affronta tematiche complesse come la perdita, la follia e la fragilità del potere. Gabriele Lavia, che interpreta il protagonista, esplora le sfide intrinseche al personaggio attraverso una regia contemporanea che si distacca dalle tradizioni passate, offrendo uno sguardo nuovo su una delle opere più importanti della drammaturgia mondiale. La creazione di un ambiente suggestivo in un teatro abbandonato offre una nuova prospettiva su un classico sempre attuale.
La perdita come tema centrale
Il concetto di perdita è il filo conduttore di tutte le azioni e dei sentimenti espressi nel “Re Lear“. Secondo Lavia, questa parola racchiude molteplici sfaccettature: la perdita della ragione, la frattura nei legami familiari e la disintegrazione del potere. Egli descrive Lear come un sovrano che, spinto dalla follia, decide di dividere il proprio regno tra i suoi figli, un gesto che rivela non solo la sua vulnerabilità ma anche la sua incapacità di comprendere la vera natura del potere. In questo modo, il regista invita il pubblico a riflettere su come le scelte di Lear amplifichino le sue perdite, portando alla sua rovina personale e regale.
L’ambientazione del nuovo spettacolo, contrariamente alla storica rappresentazione circolare di Giorgio Strehler, trova spazio in un luogo che trasmette sensazioni di oblio e fragilità, riflettendo le difficoltà di un mondo in cui gli affetti e le responsabilità si sgretolano. La dimensione storica dell’opera si ricompone, in un certo senso, nel contesto attuale, dove ogni rappresentazione diventa una finestra su una realtà complessa e stratificata. La rappresentazione di un mondo in rovina si allontana da un semplice testo letterario, trasformandosi in un’interpretazione visiva e emotiva delle sfide contemporanee.
La natura complessa di Re Lear
Enteramente definito, Re Lear si presenta come una figura tragica colma di conflitti interiori. Secondo Lavia, Lear è, in sostanza, un uomo involontariamente pazzo, le cui scelte dettate dall’orgoglio lo portano a rinunciare al potere per rivestire il ruolo di semplice mortale. La sua decisione di delegare la sovranità ai figli non è solo una scelta politica, ma una manifestazione della sua vulnerabilità e della ricerca di una connessione che sembra sfuggire.
La follia che affligge Lear diventa una metafora della condizione umana. Lavia sottolinea che la tempesta che circonda il sovrano è simbolica del tumulto interiore dell’umanità. L’uomo moderno, proprio come Lear, lotta contro le tempeste della vita, cercando un senso di identità in un mondo dove la sicurezza sembra illusoria. Il personaggio attraversa un percorso di disgregazione, a tal punto da perdere non solo il regno, ma anche il contatto con se stesso e con gli altri.
L’approccio teatrale di Gabriele Lavia
Lavia affronta la sfida di interpretare un personaggio di tale complessità con un approccio che valorizza il “credibile” come fulcro della performance teatrale. L’attore cerca di trasmettere le emozioni profonde di Lear attraverso una rappresentazione che enfatizza la vulnerabilità umana e le tensioni interiori. Il “Re Lear” emerge quindi come un’analisi della condizione di impotenza e solitudine, ingredienti necessari per dare vita a una rappresentazione autentica.
La realizzazione di questa visione richiede un equilibrio delicato tra l’espressione emozionale e la comprensibilità della narrazione. Lavia si pone l’obiettivo di rendere corporee le angosce del personaggio, permettendo al pubblico di accedere a un vissuto che trascende il semplice atto di recitare. Allo stesso modo, l’elemento scenico di un teatro abbandonato stimola una riflessione profonda sull’effimero e sulla caducità, rendendo l’esperienza teatrale un processo di scoperta reciproca tra attore e spettatore.
La rappresentazione odierna del “Re Lear” non è solo una rivalutazione artistica, ma una vera e propria rielaborazione ideologica che prepara il terreno per un confronto sulle sfide esistenziali che tutti affrontiamo.